- Hai scritto un libro in veneziano, una domanda che sorge spontanea: come mai?
Quando faccio le presentazioni la domanda è sempre questa, "perché c#xxo un americano scrive un libro in dialetto veneziano?". A me piace ribaltare la domanda: "perché non si scrivono i libri in dialetto?” Questa è la vera domanda secondo me, perché per la frequenza del suo uso, a Venezia sopratutto, dovrebbe essere normale, tutti parlano sempre in dialetto! Io sono arrivato e in quanto straniero ho dovuto imparare prima il dialetto e l’italiano col tempo, perché per poter comunicare è così, no?
- Ma tu come sei finito a Venezia?
Diciamo per giri “politici”. Tutto inizia in Messico, dove ho lavorato un po’ con gli zapatisti, il movimento zapatista, eccetera. Ho conosciuto degli italiani (fra cui anche Claudio Calia, quel mondo là) e poi per vie traverse sono finito in Italia. E quindi alla fine sono finito là e sono rimasto dieci anni, facendo un po’ militanza insomma. Per quello io Jason sono finito a Venezia.
- Ma tu quindi non hai origini italiane?
Lontanamente sì, però io sono americano, parlo inglese, sono anglofono.
Quindi sono finito in mezzo a questo mondo dei no global di quegli anni là e ho vissuto un sacco di belle storie..
- Ora vivi a Parigi?
Sì, poi ad un certo punto sono andato via, ho studiato a Trieste, è cambiata la vita e arrivato a Parigi ho detto: scrivo! Cioè ho sempre scritto, ma ad un certo punto ho detto: voglio scrivere le storie che ho vissuto a Venezia. Il protagonista è veneziano, Tommi, e narra in prima persona..
E’ un romanzo frammentato, nel senso che sono quattro racconti che se vuoi li puoi leggere singolarmente, però c’è un arco narrativo nella vita di Tommi, e i personaggi un po’ si incrociano da una storia all’altra.
- Il protagonista quindi è unico…
Sì, il narratore è Tommi, lui in realtà è uno sfigato che non fa molto, cioè osserva, fa un po’ da testimone delle cose che succedono. Comunque finisce più o meno sempre a svolgere il proprio ruolo importante, cioè fa parte della storia. Chiaramente c’è un legame con quello che ho vissuto, però Tommi è più come un amico che è stato ai margini e ha visto quello che ho vissuto. Poi è un romanzo, quindi ci sono tutti certi meccanismi narrativi, di fiction, non è tutto veramente successo.
- Quando l’hai scritto?
Allora è uscito a gennaio, un annetto fa ormai. Però ho iniziato scrivere la prima parte di questo quasi quattro anni fa. I primi due anni ho dovuto fare un sacco di ricerche sulla lingua perché il veneziano non è codificato, non c’è nessuno standard!
- Dovresti risalire addirittura fino a Goldoni!
Infatti, ho letto i documenti della Serenissima, eccetera. Poi con la caduta della Serenissima c’è Napoleone che blocca un po’ quel processo: all’inizio dell’800 non c’è più una lingua perché non c’è più uno stato. Boerio ha scritto un vocabolario abbastanza completo però parlava del veneziano di Goldoni, non del veneziano della sua epoca. E poi dopo quasi 200 anni c’è la Lega che cerca di riabilitare il dialetto ma come operazione politica, anche fallimentare, ma anche interessante perché un linguista, Silvano Belloni, ha scritto una grammatica dicendo “non sono proprio d’accordo con tutto quello che è uscito, ma questa secondo me è la grammatica veneta”. E io mi sono molto basato su quella, però anche prendendo in considerazione tutta la storia, eccetera eccetera. Quindi sì, un sacco di ricerca!
- Ora hai qualche nuovo progetto?
Adesso sto già scrivendo un altro libro in dialetto. In questo libro ci sono quattro parti, in realtà avevo già iniziato scrivere la quinta parte, dopo ho deciso di lasciarla fuori e separarla perché era a sè stante. Ora sto lavorando su questa e l’editore è già molto contento del risultato. Sarà appunto un romanzo a sè stante.
- Mi fa sorridere pensare che noi in Italia abbiamo il mito di Seattle e del grunge, e tu da Seattle sei venuto a imparare il veneziano da noi. E’ proprio vero che si idealizza quello che è fuori dalla propria realtà!
Però se vuoi qui c’è il collegamento, perché c'è il mito Seattle, il grunge, gli anni’90, il "fai da te", eccetera eccetera. Io ho sempre avuto un approccio da autodidatta, da "fai da te", anche se io ho un po’ una formazione linguistica però non c’è nessun altro che mi ha insegnato come scrivere in dialetto. Ho fatto di testa mia e si vede!
- Quindi vorresti dire che questa è una cosa grunge!
E’ molto grunge! Sono io che ho deciso perché raccontare queste storie e l’ho fatto. In questo senso, grunge non è un genere musicale, non è uno stile, è un modo di fare, è un atteggiamento!
- Penso a band tipo Nirvana o Pearl Jam, già solo fra loro c’erano enormi differenze!
Sì ma Nirvana e Pearl Jam puoi anche dire che erano entrambe rock, ma qualche anno dopo sono arrivati gruppi che facevano elettronica pura, però sono indie di Seattle, perché è l’atteggiamento, è come si fa!
- Ma secondo te perché c’è stato questo fenomeno a Seattle?
Onestamente penso che sia dovuto alla depressione economica degli anni ’70 del porto di Seattle, e quando la gente non ha un c#zzo inventa, improvvisa. Si dice che la necessità è il dio della creazione, no?
Ma il grunge in Italia è oramai passato di moda, o no? :D.
RispondiEliminaMi ricordo bene tra fine anni '90 e inizio 2000..ma adesso c'è ancora chi si veste con i camicioni a scacchi? :D
A me piacerebbe, ma mia moglie non me lo lascia fare :D comunque come spiega lui il grunge era una filosofia più che un genere musicale
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